d. Bernardo Artusi csl – Certosa di Firenze
Giunti a metà del cammino di preparazione al Natale, siamo invitati a gioire. E in questo invito alla gioia la liturgia esprime certamente il cuore di Dio, il suo più profondo desiderio per l’umanità: Dio ci vuole felici, ricolmi del suo Spirito, della sua Vita, più forte della morte. Eppure non ci sorprende la domanda che Giovanni Battista affida ai suoi discepoli dal carcere: “Sei tu colui che deve venire, o dobbiamo aspettare un altro?”. Una domanda che lascia trasparire un’esitazione, riguardo a “colui che deve venire”, il Messia atteso e annunciato da tanti profeti lungo i secoli. Cristo, nel suo comportamento, non doveva coincidere pienamente alle aspettative di Giovanni Battista. Più che un Messia potente e severo, egli appare mite e umile. Non certo un vincente, ma uno che si rivolge ai piccoli e ai poveri. Moralmente, sembra piuttosto discutibile, frequenta abitualmente pubblicani e peccatori. Non tiene le distanze, ma si coinvolge con i pagani: parla liberamente con una donna samaritana, perdona pubblicamente un’adultera, guarisce il servo di un centurione romano, si invita a casa di un collaborazionista dei romani.
Giovanni Battista esita e il Cristo gli risponde, facendo sue le parole del profeta Isaia e con i segni concreti della sua azione, che si sta inaugurando un mondo nuovo. Non risponde direttamente, ma chiede a Giovanni di aprire gli occhi del cuore, gli occhi che sanno leggere con fede la storia e si lasciano sorprendere dal modo paradossale di agire di Dio. Il Dio del nostro immaginario, compie esattamente ciò che desideriamo e aspettiamo. Il Dio vivo e vero lo si conosce invece per rivelazione, ed è sempre oltre, oltre quanto ci siamo rappresentati, oltre quanto abbiamo capito di lui, oltre i nostri bisogni e le nostre aspettative. Beati quanti non si scandalizzano di lui, quanti non si scandalizzano del divario tra il Gesù reale e il Gesù sognato. Gesù lo si conosce da peccatori perdonati quale nostro Salvatore, che si manifesta nella sua misericordia. Non un concetto. Un incontro, un tocco del tutto unico e personale, che guarisce le nostre ferite, anch’esse così personali, da tracciare delle cicatrici riconoscibili, memoria indelebile sulla nostra pelle di quanto ci ha ferito, come anche del passaggio risanante di Dio.
Gesù delude le nostre aspettative umane di grandezza nel suo essere il più piccolo, infinitamente più piccolo delle nostre proiezioni. E nel farsi il più piccolo, diventa così grande al punto da incontrarci tutti.
Accogliere un tale Messia richiede una conversione. E Gesù indica anche nella persona di Giovanni Battista un segno che ci costringe a cambiare mente: non un profeta in morbide vesti, accattivante, ma un uomo del deserto, totalmente consacrato alla sua missione di annunciare, di preparare la via a colui che deve venire. La via la traccerà poi il Signore stesso, con la sua vita, e aprendo ai discepoli la strada e il modo stesso di seguirlo. Giovanni è il più grande dei profeti nel suo ruolo unico, e tuttavia il minimo nel regno dei cieli è più grande di lui. Giovanni rimane sulla soglia, sospeso nel suo vibrante desiderio, nella sua attesa, che il mite Agnello da lui annunciato colmerà. Davanti all’agire paradossale del Messia, Giovanni si pone in ascolto interrogando, rimane un cercatore della verità.
L’invito alla gioia della liturgia di oggi risuona per tutti noi e può diventare un’esperienza personale se accettiamo che Dio ci inserisca nel suo disegno di amore, nel suo modo di amare, e lasciamo fare a lui. Allora anche per noi potranno aprirsi i nostri occhi e le nostre orecchie e saremo capaci di riconoscere il passaggio di Dio nei nostri deserti, nelle nostre pianure inaridite. Dio prende l’iniziativa, prepara il suo sentiero, fedele alle sue promesse. E continua a operare il miracolo di sfiorare il cuore dell’uomo e di risvegliarlo alla vera vita. Se rimaniamo aperti alle sorprese dello Spirito, Dio non mancherà di manifestarsi nella sua bellezza che fiorisce anche per ciascuno di noi.