PRESBITERI DIOCESANI INSIEME

“Vanno anche tenute in grande considerazione e diligentemente incoraggiate le associazioni che, in base a statuti riconosciuti dall’autorità ecclesiastica competente, fomentano grazie ad un modo di vita convenientemente ordinato e approvato e all’aiuto fraterno – la santità dei sacerdoti nell’esercizio del loro ministero, e mirano in tal modo al servizio di tutto l’ordine dei presbiteri.”(Dal decreto sul ministero e la vita dei presbiteri PRESBYTERORUM ORDI-NIS, 8)

CONGREGAZIONE DEI SACERDOTI DI GESÙ SALVATORE (CSGS)

La Congregazione dei Sacerdoti di Gesù Salvatore, fondata nel 1663 dal venerabile Lorenzo Antinori, è parte importante della storia della nostra diocesi di Firenze, promuovendo un’attenzione concreta ai legami di fraternità, condivisione e spiritualità tra il clero. Basti pensare a quanto la Congregazione ha realizzato nei secoli a favore dei presbiteri con il Convitto delle Calza. Ottenne il riconoscimento pontificio da papa Innocenzo XI. Nei mesi scorsi è stato approvato, dall’Arcivescovo di Firenze Gherardo Gambelli, il nuovo Statuto.
Dal 2007 la Congregazione è aggregata all’Unione Apostolica del Clero.

L’Associazione ha i seguenti fini:

a. esercitare il culto per una più diffusa propagazione della Fede nel popolo;
b. sostenere le vocazioni all’Ordine sacro ed aiutare coloro che si avviano alla vita sacerdotale.
c. promuovere la formazione permanente del clero;
d. celebrare i suffragi per i Congregati defunti;
e. promuovere una maggiore comunione e unità tra i presbiteri del presbiterio fiorentino;f. fomentare nella Chiesa tale comunione fraterna presbiterale come testimonianza di carità cristiana e umana;
f. valorizzare la spiritualità diocesana custodendone il patrimonio di santità;
g. accogliere le proposte ed i servizi richiesti dall’Arcivescovo e dalla Diocesi.

SEDE: Firenze, presso l’Arcivescovado piazza San Giovanni, 3
CONTATTO: csgs@diocesifirenze.it
QUOTA ASSOCIATIVA: €20

MODALITÀ DI PAGAMENTO DELLA QUOTA

a. Bonifico sul conto corrente intestato a
CONGREGAZIONE DEI SACERDOTI DI GESÙ SALVATORE
IBAN: IT45G0306909606100000140516
nella CAUSALE specificare a quale Associazione si vuole rinnovare l’iscrizione e a quale deve essere versata l’eventuale donazione

b. in contanti presso l’Ufficio Cassa della Curia Arcivescovile e presso la Segreteria del Convitto. Ecclesiastico nel viale Machiavelli, 6, Firenze

ASSOCIAZIONE DI PREVIDENZA TRA I SACERDOTI DELLA TOSCANA (APST)

Fondata nel 1901 dal Cardinale Mistrangelo, arcivescovo di Firenze l’APST gestisce il Convitto ecclesiastico luogo di convalescenza, riabilitazione e sostegno ai sacerdoti malati ed a quelli non più in grado di operare attivamente.

L’Associazione ha i seguenti fini:

aiutare i Soci nella tutela dei loro interessi morali, materiali e sociali;

  assicurare ai Soci un contributo straordinario per le spese mediche in caso di malattia, con interventi commisurati alle proprie disponibilità finanziarie ed alla necessità dei pazienti;

  accogliere nel Convitto Ecclesiastico, posto in Viale Machiavelli 6 a Firenze, i Soci appartenenti all’Arcidiocesi fiorentina, anziani o colpiti da cronicità o semicronicità, che lo richiedano e siano nelle condizioni previste dall’apposito Regolamento. I Soci appartenenti alle altre diocesi della Toscana, potranno esservi ammessi, purché ottemperino al Regolamento ed abbiano l’approvazione del proprio Ordinario e dell’Ordinario Diocesano di Firenze.

SEDE: Firenze, Viale Machiavelli 6
CONTATTO: convitto@ego.it
QUOTA ASSOCIATIVA: €30

MODALITÀ DI PAGAMENTO DELLA QUOTA

a. Bonifico sul conto corrente intestato a
CONGREGAZIONE DEI SACERDOTI DI GESÙ SALVATORE
IBAN: IT45G0306909606100000140516
nella CAUSALE specificare a quale Associazione si vuole rinnovare l’iscrizione e a quale deve essere versata l’eventuale donazione

b. in contanti presso l’Ufficio Cassa della Curia Arcivescovile e presso la Segreteria del Convitto. Ecclesiastico nel viale Machiavelli, 6, Firenze

UNIONE APOSTOLICA DEL CLERO (UAC)

E’ un’associazione di ministri ordinati (vescovi, presbiteri e diaconi) che promuove in Italia le finalità della omonima Confederazione internazionale. Sue note caratteristiche sono la fraternità e la diocesa-nità, In forza di queste finalità l’UAC promuove la spiritualità diocesana dei ministri ordinati per aiutarli a vivere in pienezza la loro speciale dedicazione alla propria Chiesa particolare e a far crescere nelle comunità l’esigenza di ” sentire Ecclesiam, sentire cum Ecclesia, sentire in Ecclesia”.

L’Associazione ha i seguenti fini:
  • evidenzia la radicale forma comunitaria del ministero ordinato, facendo crescere la fraternità nel presbiterio diocesano a servizio del popolo di Dio, in comunione con il vescovo;
  • incentiva la fraternità sacramentale tra i ministri ordinati nelle sua varie forme e secondo le indicazioni del decreto conciliare Presbyterorum ordinis;
  • opera per la valorizzazione dei diaconi permanenti nell’azione pastorale;
  • favorisce iniziative di formazione permanente dei ministri ordinati sotto i profili umano e spirituale,

teologico e pastorale.

SEDE: Firenze, presso l’Arcivescovado, piazza San Giovanni, 3
CONTATTI: csgs@diocesifirenze.it
SITO WEB: www.uac-italia.it
QUOTA ASSOCIATIVA: € 25

MODALITÀ DI PAGAMENTO DELLA QUOTA

a. Bonifico sul conto corrente intestato a
CONGREGAZIONE DEI SACERDOTI DI GESÙ SALVATORE
IBAN: IT45G0306909606100000140516
nella CAUSALE specificare a quale Associazione si vuole rinnovare l’iscrizione e a quale deve essere versata l’eventuale donazione

b. in contanti presso l’Ufficio Cassa della Curia Arcivescovile e presso la Segreteria del Convitto. Ecclesiastico nel viale Machiavelli, 6, Firenze

N.B. Se si desidera versare le quote a UAC e FACI/ADC la quota cumulativa è di 50,00 € (e non 55,00 €)

FEDERAZIONE ITALIANA DELLE ASSOCIAZIONI DEL CLERO (FACI)

Fondata a Siena da Mons. Nazareno Orlandi il 17 novembre 1917 lanciò l’idea di una Federazione fra tutte le Associazioni del Clero d’Italia. RAPPRESENTA il Clero nelle Sedi e negli organi ecclesiastici e cIVI-Ii, dove previsto, a norma di legge. PROMUOVE, la difesa e la tutela della dignità del clero, OFFRENDO assistenza morale, sociale, legale, tecni-ca, economica nonché aggiornamento giuridico e culturale. COLLABORA con la CEI per lo studio e l’elaborazione di proposte nell’ambito delle materie che rientrano nel proprio scopo. 
A Firenze opera dal 1987 attraverso l’Associazione diocesana del Clero. Il proprio statuto è stato rinnovato e approvato dal card. Giuseppe Betori nel 2023.

L’Associazione ha i seguenti fini:

a) promuove la costituzione delle Associazioni e delle Sezioni Diocesane e ne integra l’azione;
b) propone lo studio e l’attuazione di iniziative e attività rispondenti alle sue finalità; 
c) promuove l’attuazione di opere di mutua assistenza e di patronato a favore degli iscritti;
d) mette la sua organizzazione centrale e periferica a disposizione del clero operante in Italia; 
e) pubblica la rivista “L’Amico del Clero” e cura il sito web, come strumenti di informazione e di ricerca con particolare attenzione alle materie giuridiche riguardanti sia l’ordinamento canonico sia quello civile che interessano il clero e gli enti a esso affi-dati; 
f) promuove, anche con le altre Associazioni del Clero, la formazione e gli aggiornamenti pastorali e spirituali dei sacerdoti e dei diaconi. 

SEDE: Roma, Largo Card. A. Galamini, 7 (Lunedì-Venerdì ore 08.45-17.00)
– Firenze, presso l’Arcivescovado, piazza san Giovanni, 3
CONTATTI: adc@diocesifirenze.it
SITO WEB: www.faci.net oppure: www.faci.diocesifirenze.it
QUOTA ASSOCIATIVA: € 30
(FEDER. FRA ASSOC. D. CLERO IN ITALIA) / ADC (ASSOC. DIOC. D. CLERO)

MODALITÀ DI PAGAMENTO DELLA QUOTA

a. Bonifico sul conto corrente intestato a
CONGREGAZIONE DEI SACERDOTI DI GESÙ SALVATORE
IBAN: IT45G0306909606100000140516
nella CAUSALE specificare a quale Associazione si vuole rinnovare l’iscrizione e a quale deve essere versata l’eventuale donazione

b. in contanti presso l’Ufficio Cassa della Curia Arcivescovile e presso la Segreteria del Convitto. Ecclesiastico nel viale Machiavelli, 6, Firenze

N.B. Se si desidera versare le quote a UAC e FACI/ADC la quota cumulativa è di 50,00 € (e non 55,00 €)

Quarta Domenica di Avvento

Anno B

“Avvenga per me secondo la tua parola”

Lungo il cammino dell’Avvento la nostra attesa si è lasciata interpellare dalla Parola di Dio, reale Presenza che ci invita a fare nostro uno sguardo contemplativo sulla storia e sulla nostra vita, riconoscendo la fedeltà di Dio alle sue promesse, scorgendo le orme discrete, spesso invisibili a prima vista, del suo passaggio. La nostra fede è chiamata a riconoscere che Dio realizza infallibilmente le sue promesse, nonostante noi, e tuttavia insieme con noi.
La profezia annunciata a Davide, per bocca del profeta Natan, annuncia l’iniziativa di Dio: sarà lui a costruire a Davide una casa, e non di cedro o di altra preziosa materia. Dio susciterà un discendente, molto diverso da quelli, assai deludenti, che le cronache della storia ci hanno tramandato. Un discendente che rivelerà la paternità di Dio. Sempre Dio supera le nostre attese e ci sorprende: non solo un successore, ma il Figlio di Dio dovrà nascere.
L’iniziativa di Dio, così grande rispetto alle attese di Davide e della stessa visione messianica di Israele, coglie di sorpresa anche per la modalità in cui si compie. Dio renderà stabile il suo regno, scegliendo una povera ragazza di Nazareth. Ancora di più: Dio decide di salvare l’umanità scegliendo la via dell’incontro. “Rallegrati”, è il saluto che gli antichi profeti rivolgevano alla città santa e che ora il divino messaggero rivolge a Maria. In lei il saluto angelico provoca molto turbamento e Dio le viene incontro ancora, le tende la mano con grandi promesse riguardo al Figlio annunciato, promesse che realizzano la profezia di Natan e la superano: “Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”. A tale annuncio corrisponde la limpida accoglienza di Maria che, nella sua umiltà, riconosce la propria piccolezza.
Dio ha trovato nella povertà di Maria la possibilità di rinnovare le sue meraviglie, facendone l’Arca santa di una nuova e più perfetta alleanza. Tutto però si compie nello spazio libero dell’Amore che non forza, non si impone, attende l’assenso dell’altro, accetta il rischio di un rifiuto. E chi può cantare la gioia di Dio, mendicante Amore, nel trovare il consenso di Maria, che le ha aperto una strada nel suo cuore, una via per farsi pellegrino, uomo fra gli uomini, e incontrare tutti?
Maria accoglie il Figlio nel cuore e la sua risposta rivela le sue disposizioni, del tutto corrispondenti a quelle che saranno del suo Figlio. “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”. E similmente Gesù: “Ecco io vengo per fare la tua volontà” (Eb 10,7.9). Maria, dunque, si dispone ad accogliere il Mistero della Vita del suo Figlio, anche nei suoi aspetti dolorosi, che saranno fonte di contraddizione.
A noi è chiesto sempre nella nostra vita di credenti, e particolarmente in questa Domenica breve, che fra poche ora si aprirà alla Notte luminosa del Natale, di ripetere il “sì” di Maria, aprendo la dura scorza del mondo e della nostra umanità ferita, all’incontro con Dio. Dio attende questo nostro umile “sì”, per manifestarsi ancora fedele alle sue promesse.

d. Bernardo Artusi csl – Certosa di Firenze

Terza Domenica di Avvento

Anno B

Rallegratevi nel Signore sempre!

La liturgia oggi veste di rosa, segno della sua esultanza. Proprio grazie alla liturgia della Chiesa il cristiano impara ad accogliere l’invito a gioire. Non certo perché il cristiano è indifferente a ciò che avviene in questo mondo o insensibile alle prove che attraversano il nostro tempo storico. La Chiesa gioisce perché torna a orientare la sua attenzione alla luce che deve venire, più forte di ogni tenebra. Ma accogliere una tale luce comporta un esodo dai nostri punti di vista consolidati, un pellegrinaggio dalla banalità di ciò che è vissuto in superficie, verso la profondità della presenza di Dio in mezzo a noi. Presenza paradossale, nascosta, sorprendente.
Per ogni generazione, e in ogni anno liturgico che ci è dato di vivere, siamo invitati a compiere il pellegrinaggio più difficile e più decisivo, quello verso il cuore che riconosce e accoglie il dono di Dio. Dio che si fa dono per noi.
“In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete”, afferma Giovanni Battista in risposta alle domande incalzanti dei sacerdoti e dei leviti. Giovanni sa di essere frainteso da chi è accecato dal pregiudizio e al tempo stesso prevede una simile difficoltà riguardo al Cristo, che pure è già presente e si manifesterà con segni ancora più grandi.
L’identità del Cristo sarà rivelata a tutti, epifania radiosa di luce accolta dalle genti pagane, e resterà però velata agli occhi chiusi dall’ignoranza e dal pregiudizio. In Giovanni Battista risplende l’umile abnegazione con cui confessa di “non essere lui” il nuovo Elia, né il profeta attesa, né tanto meno il Cristo. Giovanni è solo voce che dà testimonianza alla luce che nessuno può catturare. Luce che si rivela ai piccoli. E la sua testimonianza così semina una certa inquietudine e suscita curiosità.
“In mezzo a noi sta”, dunque, una presenza che non ha scelto di affermarsi con la forza, accecante e temibile, del successo, del prestigio, della ricchezza, del potere o della prevaricazione. Eppure, una presenza evidente nei suoi frutti straordinari, cantati dal profeta Isaia in un testo che il Cristo ha letto nella sinagoga di Nazareth attribuendolo a sé. L’unto del Signore fascerà le piaghe dei cuori spezzati con la sua presenza, l’unzione del suo Spirito che oltre a pervadere la sua persona è effuso sulla Chiesa e su tutti i cercatori di Dio. L’avvento del Messia porterà la libertà agli schiavi, persino dalla schiavitù cui ci sottomette la tirannia del nostro piccolo ego. Un anno di grazia, con il condono dei debiti che gravano sul cuore manifesterà l’avvento di un nuovo regno in cui ci è rivelata la nostra inalienabile dignità di figli, riscattati, rivestiti di una veste nuova, che nessuno può corrompere o rubare. La veste delle nozze che fanno gioire Giovanni Battista, l’amico dello Sposo, che esulta di gioia alla voce dello sposo e presto avrà occhi e cuore per gioire in pienezza: “Ora questa mia gioia è piena” (Gv 3,29).
La liturgia, con le parole di Paolo, ci suggerisce come preparare il cuore a cogliere la presenza, velata eppure fonte di intima gioia, del Signore che viene per essere con noi, “tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Scrive Paolo ai Tessalonicesi: “siate sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie”. Sempre lieti, perché al cuore della notte si annuncia una luce più forte; pregando incessantemente, per essere sempre pronti a cogliere le ispirazioni di Dio; rendendo grazie in ogni cosa, con il cuore grato perché ricorda le Misericordie del Signore e confida nel compimento delle sue promesse. Un atteggiamento aperto, fiducioso, dinamico, che ci dispone a guardare sempre, nonostante tutto, alla Luce che nessuna notte può dissipare.

d. Bernardo Artusi csl – Certosa di Firenze

Seconda Domenica di Avvento

Anno B

“Fate di tutto perché Dio vi trovi in pace”
Seconda Domenica di Avvento – B (2023)

Attendiamo il Signore a partire dalla sua promessa, ricordando la pienezza che ci attende, verso cui ci facciamo pellegrini nel tempo. Il profeta Isaia annuncia il Signore che verrà a salvare, farà udire la sua voce “nella letizia del vostro cuore” (antifona d’ingresso, Is30,19.30). Il richiamo a preparare il cuore, a “camminare verso il giorno” in cui il Signore si manifesterà come Salvatore, e ad annunciare la gioia, può essere disorientante, o quanto meno inattuale, in un tempo come il nostro: non abbiamo forse più spesso la sensazione di procedere nel buio, e di brancolare senza una direzione precisa, mentre rimbomba il frastuono delle armi e della violenza? Ma già il profeta Isaia parlava a un popolo chiamato a vivere un nuovo esodo e a sperare e a gioire confidando nelle promesse di Dio, dopo l’esperienza della disfatta. Il Signore viene, porta con sé il premio e la sua ricompensa lo precede. Ogni valle deve essere colmata, ogni ostacolo rimosso per accogliere colui che porta in premio la sua presenza e la sua cura, forte e tenera, come quella di un pastore buono, dal braccio forte e premuroso.

“Il Signore non ritarda”, afferma san Pietro. Piuttosto, ci dona tempo per convertirci alla fede nel compimento delle sue promesse: “aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia” (2Pt 3,13), quella giustizia così spesso conculcata per interi popoli, o tradita nel segreto del cuore umano. “Fate di tutto perché Dio vi trovi in pace”, invoca san Pietro. Quella pace che solo Cristo sa dare e che permette di attraversare ogni tempesta, ogni notte, in comunione con Dio.

Alla nostra attesa, dunque, si mescola il presentimento, l’intuizione della pienezza che ci è data in Cristo: Lui è il nuovo cielo e la terra nuova in cui può fiorire la giustizia ed è per questo che, anche nella prova, la nostra attesa può conoscere la gioia e osare annunciarla. Ormai, in Cristo, si apre per tutti una via nuova, che Giovanni Battista annuncia con forza e umiltà: sa bene di essere solo la “voce” che prelude la “Parola”, sa bene di dover diminuire davanti all’arrivo di “colui che è più forte”. Diminuire, pagando infine con il sangue la sua coerenza e la sua fedeltà. 

Giovanni Battista si fa, dunque, portavoce e dona un battesimo di conversione, in attesa di un tempo nuovo: dal battesimo con acqua, al battesimo in Spirito Santo, dal battesimo di conversione, al battesimo di illuminazione. Il battesimo che il buon Pastore porta apre una via inedita, interiore, che fa breccia e si fa strada nel cuore. Il Signore viene e il suo avvento si compie nel cuore dell’uomo: viene dentro, erompe per irradiarsi, come luce indefettibile e delicatissima. 

La via aperta nel cuore è infatti la stessa via della nostra salvezza, che ci fa camminare da figli, guidati dalla luce dello Spirito, verso il regno del Padre: non solo il regno che ci attende alla fine del tempo, ma quello dove gli occhi del cuore finalmente si aprono e imparano a vedere secondo Dio. Dio ci dona un tale sguardo nuovo, a condizione che accettiamo di farci pellegrini e di lasciarci alle spalle il nostro modo di vedere le cose, umano troppo umano. A condizione di vivere il nostro battesimo come un progressivo cammino verso la profondità della nostra relazione con Dio. Sperimenteremo, allora, di non camminare da soli, ma che Cristo per primo si fa pellegrino con noi, ci “porta sul petto” e come nostro fratello in umanità ci conduce, con in cuore la pace di camminare con Lui.

Prima Domenica di Avvento

Anno B

La Chiesa, all’inizio dell’anno liturgico, si dispone a celebrare il mistero del tempo. Lo farà lungo tutto l’anno e si prepara da subito a vivere la sua attesa in un modo del tutto differente rispetto al mondo: non commemorando un evento, sepolto nella notte dei tempi e facilmente sostituibile da altre attrazioni alternative, come la recente proposta di istituire la “festa dell’inverno”, tanto infelice nel suo triste anonimato. La Chiesa attende Qualcuno, le cui Parole sono risuonate, lungo i secoli, in modo unico per ciascun credente, suscitando risposte originali. E ci viene ancora incontro, questo divino Pellegrino del tempo in cerca dell’uomo, dandoci tempo per cercarlo a nostra volta, sprofondando lo sguardo nell’intensità del suo mistero di luce, di silenzio, di amore.

Ci è donato un tempo inedito, per lasciarci raggiungere da Dio proprio in quella lontananza in cui ci siamo smarriti, perdutamente. Una lontananza che ha le apparenze del sonno dell’insensibilità, o l’opacità di un quotidiano in cui le relazioni sono sempre più anonime e che in un attimo diventano feroci, violente. 

Da questa lontananza risuona, con le parole del profeta Isaia, il grido dell’umanità: “Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore?”. Lontano da Dio, percepiamo tutta la nostra inconsistenza, e siamo ridotti a ben poca cosa, quali foglie avvizzite trascinate dal vento. Isaia, in effetti, esprime con efficacia l’esperienza del peccato: nessuno invoca il nome di Dio, tutti sembrano immersi nel sonno dell’incoscienza, Dio sembra aver nascosto il suo volto. Eppure, il profeta esprime, al tempo stesso una teologia del peccato: Dio si nasconde per essere cercato, ed è davanti al suo Volto, ora perduto e cercato con nostalgia, che risalta il dramma del nostro peccato. Nella desolazione, Isaia ci insegna a gridare verso Dio, a partire dalla fede che ci abita dentro, forse in una profondità anch’essa lontana, ma insopprimibile. 

La fede del profeta Isaia, e con lui il nostro cuore, si rivolge a Dio due volte confessando la sua paternità: “Tu sei nostro padre”! Da te, nostro creatore, ha origine la nostra vita. Ma la vita che resta, al di là di tutto, è quella che ci doni come nostro redentore, riscattando la nostra vita perduta, smarrita, addormentata, offuscata dal non senso, dalla paura che ci insidia e che assale l’umanità. “Se tu squarciassi i cieli”, per noi ora chiusi e muti, “ritorna”! (cfr Is 63-64). 

Come un’eco fedele, in sintonia con il profeta, il Salmista cerca lo splendore del Volto che ci salva, in cui è tutta la nostra speranza: “Risveglia la tua potenza e vieni a salvarci… Ritorna!!”. Solo davanti a un Volto, solo facendoci pellegrini del Volto del Salvatore, si può gridare così: “Da te mai più ci allontaneremo, facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome” (Sal 79), perché è in gioco una Pasqua, il passaggio e l’esperienza di una rinascita, di una vita nuova. Vero ostacolo non è il peccato, ma l’indurimento del cuore che non prega.

Anche noi possiamo fare nostri questi sentimenti e questo grido, perché “è degno di fede” il nostro Dio che ci chiama continuamente alla comunione con sé, comunione al suo modo di vivere, generoso e amante. E che ci manifesta l’unica vita che resta e che merita di essere scelta e vissuta in pienezza: la vita del Figlio dell’Uomo, immagine dell’umanità secondo Dio. 

Nel Vangelo, Gesù ci invita a stare attenti (letteralmente: “aprite gli occhi”), a vegliare scrutando nella notte: dalla veglia della sentinella dipende la possibilità di respingere il male che assale le mura del cuore, come anche di riconoscere l’arrivo improvviso del Signore. Sempre c’è per noi il rischio di trovarsi fuori tempo, impreparati: alla sera, quando Gesù è stato tradito, o al canto del gallo, l’ora del rinnegamento, o al mattino, quando è stato consegnato a Pilato. La sentinella che veglia sa che il pericolo incombe, ma veglia anche nell’attesa per il Signore che viene, viene in ogni istante. E anche quando le forze sembrano esigue o stanno per venir meno, comunque il cuore credente, anche se apparentemente cede al sonno, veglia sempre, perché conosce colui che attende e in cui ha riposto tutta la sua speranza.

Natale del Signore

d. Bernardo Artusi csl – Certosa di Firenze

In questa notte di Natale la liturgia ci parla di un’illuminazione: Dio ha illuminato questa santissima notte con lo splendore di Cristo, vera luce del mondo. In effetti, le grandi opere di Dio nel mondo avvengono di notte, fronteggiando le tenebre che minacciano di ingoiare tutto. In questa notte santissima noi offriamo a Dio Padre la nostra Eucarestia, il pane e il vino che contengono tutta la nostra attesa, l’attesa dell’umanità che si è prolungata nel tempo di Avvento, dalla notte dei tempi, fino a questa notte. I testi che ci vengono offerti e tutta la liturgia che ci è dato di celebrare e di vivere ci dicono che la nostra offerta viene accolta dalle mani del Padre: il Padre accoglie i nostri doni, il nostro desiderio sospeso alla nascita di una vita nuova che mancava al cuore della terra e nella sua accoglienza il Padre non si fa vincere in generosità donandoci il suo stesso Figlio, carne della nostra carne umana. Nel bambino che ci è donato questa notte diventa una Notte di Luce e ciò che la Chiesa offre, la preghiera e il segreto desiderio che ciascuno porta oggi nel cuore e sull’altare è accolto dal Padre per essere trasformato nel Cristo suo Figlio, per partecipare della sua stessa gloria, la gloria di essere figli.

Nel bambino che nasce dunque è apparsa la grazia di Dio che porta salvezza a tutti gli uomini per formare un popolo nuovo, secondo il cuore di Dio. La grazia è apparsa e il popolo che camminava nelle tenebre, nel buio del nonsenso e perduto nella sua orfananza, ha visto una grande luce. Per noi è nato un bambino, ci è stato dato un figlio, un bambino è generato oggi poiché proprio oggi Dio visita il nostro mondo tenebroso, la nostra storia ferita.
Nel bambino che ci è dato di contemplare e di adorare nella grotta di Betlemme si compiono le antiche profezie. Eppure la profezia di Isaia non è completamente realizzata. La nascita del Messia è ancora solo una tappa del cammino della storia verso il suo compimento. Ma se il Messia è nato, esiste una speranza per tutti, questo divino bambino è il segno che il piano di Dio va avanti, che nei travagli della storia il Regno viene. Contemplando il Messia bambino siamo invitati a non rassegnarci alle tenebre e a ridestarci, a indossare le armi della luce per vivere e lottare contro tutto ciò che opprime l’uomo. Nel bambino di Betlemme la potenza, bellissima, di Dio si manifesta nel potere di diventare un bambino per noi. Anche noi siamo partecipi di questa potenza ogni volta che ci facciamo piccoli, ci mettiamo al servizio di Dio e dei fratelli.
Oggi la Vergine partorisce l’Eterno, oggi un bambino è Dio e Dio è un bambino. Nel mistero del Natale si nasconde un annuncio anche per quel bambino che continua segretamente a vivere in noi, in ciascun adulto. Quel bambino che continua a udire ciò che l’adulto ormai non sente più. Sì, il Natale è la festa dell’infanzia nel senso più profondo: che solo i bambini sono in grado di non stupirsi che Dio scenda sulla terra assumendo l’aspetto di un bambino. Innumerevoli immagini e icone, una infinita teoria di presepi annuncia questo stupore, questa eterna infanzia di Dio. Da adulti vogliamo spiegazioni e analisi, chiediamo serietà e non esiste espressione più spregiativa delle parole “è una cosa da bambini”. E i bambini crescono presto diventando seri e noiosi, come gli adulti. Ma Cristo ha detto “diventate come bambini”. Che cosa manca di solito agli adulti, che cosa è stato seppellito in loro se non la capacità propria dei bambini di stupirsi, di rallegrarsi e, soprattutto di essere interi, integri, nella gioia come nel dolore? La capacità di fidarsi, donarsi, amare e credere con tutto il proprio essere. E infine la capacità, che gli adulti perdono, di prendere sul serio il sogno, di squarciare la routine quotidiana, la cinica diffidenza, di prendere sul serio la profondità del mistero del mondo che si rivela al santo al poeta al bambino.

Il bambino non ha né potere né forza, ma proprio nella sua impotenza si mostra sovrano, proprio nel suo essere debole e indifeso sta la sua forza unica. Il bambino della lontana grotta di Betlemme non vuole che noi lo temiamo, entra nei nostri cuori senza incuterci paura, ma solo con l’amore. Come bambino si affida a noi, e come bambino, noi possiamo solo amarlo e affidarci a nostra volta a lui. In un mondo in cui dominano potere e forza, paura e schiavitù, il Dio fatto bambino vuole da noi solo un amore libero e lieto, vuole che gli doniamo il nostro cuore, e noi lo doniamo a questo bambino indifeso che si fida di noi fino in fondo. Nel Natale del Signore la Chiesa ci svela il gioioso mistero di un amore libero, senza alcuna imposizione, di un amore capace di vedere, riconoscere, amare nel Divino bambino Dio stesso e di accogliere il dono di una nuova vita.