Quarta Domenica di Avvento

Anno B

“Avvenga per me secondo la tua parola”

Lungo il cammino dell’Avvento la nostra attesa si è lasciata interpellare dalla Parola di Dio, reale Presenza che ci invita a fare nostro uno sguardo contemplativo sulla storia e sulla nostra vita, riconoscendo la fedeltà di Dio alle sue promesse, scorgendo le orme discrete, spesso invisibili a prima vista, del suo passaggio. La nostra fede è chiamata a riconoscere che Dio realizza infallibilmente le sue promesse, nonostante noi, e tuttavia insieme con noi.
La profezia annunciata a Davide, per bocca del profeta Natan, annuncia l’iniziativa di Dio: sarà lui a costruire a Davide una casa, e non di cedro o di altra preziosa materia. Dio susciterà un discendente, molto diverso da quelli, assai deludenti, che le cronache della storia ci hanno tramandato. Un discendente che rivelerà la paternità di Dio. Sempre Dio supera le nostre attese e ci sorprende: non solo un successore, ma il Figlio di Dio dovrà nascere.
L’iniziativa di Dio, così grande rispetto alle attese di Davide e della stessa visione messianica di Israele, coglie di sorpresa anche per la modalità in cui si compie. Dio renderà stabile il suo regno, scegliendo una povera ragazza di Nazareth. Ancora di più: Dio decide di salvare l’umanità scegliendo la via dell’incontro. “Rallegrati”, è il saluto che gli antichi profeti rivolgevano alla città santa e che ora il divino messaggero rivolge a Maria. In lei il saluto angelico provoca molto turbamento e Dio le viene incontro ancora, le tende la mano con grandi promesse riguardo al Figlio annunciato, promesse che realizzano la profezia di Natan e la superano: “Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”. A tale annuncio corrisponde la limpida accoglienza di Maria che, nella sua umiltà, riconosce la propria piccolezza.
Dio ha trovato nella povertà di Maria la possibilità di rinnovare le sue meraviglie, facendone l’Arca santa di una nuova e più perfetta alleanza. Tutto però si compie nello spazio libero dell’Amore che non forza, non si impone, attende l’assenso dell’altro, accetta il rischio di un rifiuto. E chi può cantare la gioia di Dio, mendicante Amore, nel trovare il consenso di Maria, che le ha aperto una strada nel suo cuore, una via per farsi pellegrino, uomo fra gli uomini, e incontrare tutti?
Maria accoglie il Figlio nel cuore e la sua risposta rivela le sue disposizioni, del tutto corrispondenti a quelle che saranno del suo Figlio. “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”. E similmente Gesù: “Ecco io vengo per fare la tua volontà” (Eb 10,7.9). Maria, dunque, si dispone ad accogliere il Mistero della Vita del suo Figlio, anche nei suoi aspetti dolorosi, che saranno fonte di contraddizione.
A noi è chiesto sempre nella nostra vita di credenti, e particolarmente in questa Domenica breve, che fra poche ora si aprirà alla Notte luminosa del Natale, di ripetere il “sì” di Maria, aprendo la dura scorza del mondo e della nostra umanità ferita, all’incontro con Dio. Dio attende questo nostro umile “sì”, per manifestarsi ancora fedele alle sue promesse.

d. Bernardo Artusi csl – Certosa di Firenze

Terza Domenica di Avvento

Anno B

Rallegratevi nel Signore sempre!

La liturgia oggi veste di rosa, segno della sua esultanza. Proprio grazie alla liturgia della Chiesa il cristiano impara ad accogliere l’invito a gioire. Non certo perché il cristiano è indifferente a ciò che avviene in questo mondo o insensibile alle prove che attraversano il nostro tempo storico. La Chiesa gioisce perché torna a orientare la sua attenzione alla luce che deve venire, più forte di ogni tenebra. Ma accogliere una tale luce comporta un esodo dai nostri punti di vista consolidati, un pellegrinaggio dalla banalità di ciò che è vissuto in superficie, verso la profondità della presenza di Dio in mezzo a noi. Presenza paradossale, nascosta, sorprendente.
Per ogni generazione, e in ogni anno liturgico che ci è dato di vivere, siamo invitati a compiere il pellegrinaggio più difficile e più decisivo, quello verso il cuore che riconosce e accoglie il dono di Dio. Dio che si fa dono per noi.
“In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete”, afferma Giovanni Battista in risposta alle domande incalzanti dei sacerdoti e dei leviti. Giovanni sa di essere frainteso da chi è accecato dal pregiudizio e al tempo stesso prevede una simile difficoltà riguardo al Cristo, che pure è già presente e si manifesterà con segni ancora più grandi.
L’identità del Cristo sarà rivelata a tutti, epifania radiosa di luce accolta dalle genti pagane, e resterà però velata agli occhi chiusi dall’ignoranza e dal pregiudizio. In Giovanni Battista risplende l’umile abnegazione con cui confessa di “non essere lui” il nuovo Elia, né il profeta attesa, né tanto meno il Cristo. Giovanni è solo voce che dà testimonianza alla luce che nessuno può catturare. Luce che si rivela ai piccoli. E la sua testimonianza così semina una certa inquietudine e suscita curiosità.
“In mezzo a noi sta”, dunque, una presenza che non ha scelto di affermarsi con la forza, accecante e temibile, del successo, del prestigio, della ricchezza, del potere o della prevaricazione. Eppure, una presenza evidente nei suoi frutti straordinari, cantati dal profeta Isaia in un testo che il Cristo ha letto nella sinagoga di Nazareth attribuendolo a sé. L’unto del Signore fascerà le piaghe dei cuori spezzati con la sua presenza, l’unzione del suo Spirito che oltre a pervadere la sua persona è effuso sulla Chiesa e su tutti i cercatori di Dio. L’avvento del Messia porterà la libertà agli schiavi, persino dalla schiavitù cui ci sottomette la tirannia del nostro piccolo ego. Un anno di grazia, con il condono dei debiti che gravano sul cuore manifesterà l’avvento di un nuovo regno in cui ci è rivelata la nostra inalienabile dignità di figli, riscattati, rivestiti di una veste nuova, che nessuno può corrompere o rubare. La veste delle nozze che fanno gioire Giovanni Battista, l’amico dello Sposo, che esulta di gioia alla voce dello sposo e presto avrà occhi e cuore per gioire in pienezza: “Ora questa mia gioia è piena” (Gv 3,29).
La liturgia, con le parole di Paolo, ci suggerisce come preparare il cuore a cogliere la presenza, velata eppure fonte di intima gioia, del Signore che viene per essere con noi, “tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Scrive Paolo ai Tessalonicesi: “siate sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie”. Sempre lieti, perché al cuore della notte si annuncia una luce più forte; pregando incessantemente, per essere sempre pronti a cogliere le ispirazioni di Dio; rendendo grazie in ogni cosa, con il cuore grato perché ricorda le Misericordie del Signore e confida nel compimento delle sue promesse. Un atteggiamento aperto, fiducioso, dinamico, che ci dispone a guardare sempre, nonostante tutto, alla Luce che nessuna notte può dissipare.

d. Bernardo Artusi csl – Certosa di Firenze

Seconda Domenica di Avvento

Anno B

“Fate di tutto perché Dio vi trovi in pace”
Seconda Domenica di Avvento – B (2023)

Attendiamo il Signore a partire dalla sua promessa, ricordando la pienezza che ci attende, verso cui ci facciamo pellegrini nel tempo. Il profeta Isaia annuncia il Signore che verrà a salvare, farà udire la sua voce “nella letizia del vostro cuore” (antifona d’ingresso, Is30,19.30). Il richiamo a preparare il cuore, a “camminare verso il giorno” in cui il Signore si manifesterà come Salvatore, e ad annunciare la gioia, può essere disorientante, o quanto meno inattuale, in un tempo come il nostro: non abbiamo forse più spesso la sensazione di procedere nel buio, e di brancolare senza una direzione precisa, mentre rimbomba il frastuono delle armi e della violenza? Ma già il profeta Isaia parlava a un popolo chiamato a vivere un nuovo esodo e a sperare e a gioire confidando nelle promesse di Dio, dopo l’esperienza della disfatta. Il Signore viene, porta con sé il premio e la sua ricompensa lo precede. Ogni valle deve essere colmata, ogni ostacolo rimosso per accogliere colui che porta in premio la sua presenza e la sua cura, forte e tenera, come quella di un pastore buono, dal braccio forte e premuroso.

“Il Signore non ritarda”, afferma san Pietro. Piuttosto, ci dona tempo per convertirci alla fede nel compimento delle sue promesse: “aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia” (2Pt 3,13), quella giustizia così spesso conculcata per interi popoli, o tradita nel segreto del cuore umano. “Fate di tutto perché Dio vi trovi in pace”, invoca san Pietro. Quella pace che solo Cristo sa dare e che permette di attraversare ogni tempesta, ogni notte, in comunione con Dio.

Alla nostra attesa, dunque, si mescola il presentimento, l’intuizione della pienezza che ci è data in Cristo: Lui è il nuovo cielo e la terra nuova in cui può fiorire la giustizia ed è per questo che, anche nella prova, la nostra attesa può conoscere la gioia e osare annunciarla. Ormai, in Cristo, si apre per tutti una via nuova, che Giovanni Battista annuncia con forza e umiltà: sa bene di essere solo la “voce” che prelude la “Parola”, sa bene di dover diminuire davanti all’arrivo di “colui che è più forte”. Diminuire, pagando infine con il sangue la sua coerenza e la sua fedeltà. 

Giovanni Battista si fa, dunque, portavoce e dona un battesimo di conversione, in attesa di un tempo nuovo: dal battesimo con acqua, al battesimo in Spirito Santo, dal battesimo di conversione, al battesimo di illuminazione. Il battesimo che il buon Pastore porta apre una via inedita, interiore, che fa breccia e si fa strada nel cuore. Il Signore viene e il suo avvento si compie nel cuore dell’uomo: viene dentro, erompe per irradiarsi, come luce indefettibile e delicatissima. 

La via aperta nel cuore è infatti la stessa via della nostra salvezza, che ci fa camminare da figli, guidati dalla luce dello Spirito, verso il regno del Padre: non solo il regno che ci attende alla fine del tempo, ma quello dove gli occhi del cuore finalmente si aprono e imparano a vedere secondo Dio. Dio ci dona un tale sguardo nuovo, a condizione che accettiamo di farci pellegrini e di lasciarci alle spalle il nostro modo di vedere le cose, umano troppo umano. A condizione di vivere il nostro battesimo come un progressivo cammino verso la profondità della nostra relazione con Dio. Sperimenteremo, allora, di non camminare da soli, ma che Cristo per primo si fa pellegrino con noi, ci “porta sul petto” e come nostro fratello in umanità ci conduce, con in cuore la pace di camminare con Lui.

Prima Domenica di Avvento

Anno B

La Chiesa, all’inizio dell’anno liturgico, si dispone a celebrare il mistero del tempo. Lo farà lungo tutto l’anno e si prepara da subito a vivere la sua attesa in un modo del tutto differente rispetto al mondo: non commemorando un evento, sepolto nella notte dei tempi e facilmente sostituibile da altre attrazioni alternative, come la recente proposta di istituire la “festa dell’inverno”, tanto infelice nel suo triste anonimato. La Chiesa attende Qualcuno, le cui Parole sono risuonate, lungo i secoli, in modo unico per ciascun credente, suscitando risposte originali. E ci viene ancora incontro, questo divino Pellegrino del tempo in cerca dell’uomo, dandoci tempo per cercarlo a nostra volta, sprofondando lo sguardo nell’intensità del suo mistero di luce, di silenzio, di amore.

Ci è donato un tempo inedito, per lasciarci raggiungere da Dio proprio in quella lontananza in cui ci siamo smarriti, perdutamente. Una lontananza che ha le apparenze del sonno dell’insensibilità, o l’opacità di un quotidiano in cui le relazioni sono sempre più anonime e che in un attimo diventano feroci, violente. 

Da questa lontananza risuona, con le parole del profeta Isaia, il grido dell’umanità: “Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore?”. Lontano da Dio, percepiamo tutta la nostra inconsistenza, e siamo ridotti a ben poca cosa, quali foglie avvizzite trascinate dal vento. Isaia, in effetti, esprime con efficacia l’esperienza del peccato: nessuno invoca il nome di Dio, tutti sembrano immersi nel sonno dell’incoscienza, Dio sembra aver nascosto il suo volto. Eppure, il profeta esprime, al tempo stesso una teologia del peccato: Dio si nasconde per essere cercato, ed è davanti al suo Volto, ora perduto e cercato con nostalgia, che risalta il dramma del nostro peccato. Nella desolazione, Isaia ci insegna a gridare verso Dio, a partire dalla fede che ci abita dentro, forse in una profondità anch’essa lontana, ma insopprimibile. 

La fede del profeta Isaia, e con lui il nostro cuore, si rivolge a Dio due volte confessando la sua paternità: “Tu sei nostro padre”! Da te, nostro creatore, ha origine la nostra vita. Ma la vita che resta, al di là di tutto, è quella che ci doni come nostro redentore, riscattando la nostra vita perduta, smarrita, addormentata, offuscata dal non senso, dalla paura che ci insidia e che assale l’umanità. “Se tu squarciassi i cieli”, per noi ora chiusi e muti, “ritorna”! (cfr Is 63-64). 

Come un’eco fedele, in sintonia con il profeta, il Salmista cerca lo splendore del Volto che ci salva, in cui è tutta la nostra speranza: “Risveglia la tua potenza e vieni a salvarci… Ritorna!!”. Solo davanti a un Volto, solo facendoci pellegrini del Volto del Salvatore, si può gridare così: “Da te mai più ci allontaneremo, facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome” (Sal 79), perché è in gioco una Pasqua, il passaggio e l’esperienza di una rinascita, di una vita nuova. Vero ostacolo non è il peccato, ma l’indurimento del cuore che non prega.

Anche noi possiamo fare nostri questi sentimenti e questo grido, perché “è degno di fede” il nostro Dio che ci chiama continuamente alla comunione con sé, comunione al suo modo di vivere, generoso e amante. E che ci manifesta l’unica vita che resta e che merita di essere scelta e vissuta in pienezza: la vita del Figlio dell’Uomo, immagine dell’umanità secondo Dio. 

Nel Vangelo, Gesù ci invita a stare attenti (letteralmente: “aprite gli occhi”), a vegliare scrutando nella notte: dalla veglia della sentinella dipende la possibilità di respingere il male che assale le mura del cuore, come anche di riconoscere l’arrivo improvviso del Signore. Sempre c’è per noi il rischio di trovarsi fuori tempo, impreparati: alla sera, quando Gesù è stato tradito, o al canto del gallo, l’ora del rinnegamento, o al mattino, quando è stato consegnato a Pilato. La sentinella che veglia sa che il pericolo incombe, ma veglia anche nell’attesa per il Signore che viene, viene in ogni istante. E anche quando le forze sembrano esigue o stanno per venir meno, comunque il cuore credente, anche se apparentemente cede al sonno, veglia sempre, perché conosce colui che attende e in cui ha riposto tutta la sua speranza.